Almeno 100mila persone perderanno il lavoro": il prezzo della transizione all’auto elettrica
In una lunga intervista a Today.it, il Vice Ministro all’Economia Gilberto Pichetto spiega come sarà il futuro dell'industria dell'auto. E a Greta Thumberg risponde: "Fa bene, ma no a transizioni troppo rapide"
La terza rivoluzione industriale è quella dell'automotive in Italia e in Europa. Mentre l’attivista ecologista Greta Thunberg ha criticato duramente i leader politici mondiali dal palco della conferenza dei giovani sul clima “Youth4Climate”, tenutasi a Milano, sottolineando la necessità immediata di un cambiamento nelle politiche climatiche adesso; il Vice Ministro all’Economia italiano Gilberto Pichetto, da Torino, ha annunciato un fondo per la riconversione dell'industria automotive di 300-400 milioni di euro all’anno, per almeno i prossimi 10 anni. Lo stesso Pichetto che, direttamente a Today, annuncia tre tavoli fondamentali ad ottobre per decidere la “rivoluzione” dell’auto in Italia.
"Questo è un settore, lo vorrei ricordare, che, se comprendiamo il mercato e la distribuzione, pesa per il 20% del Prodotto interno lordo. Parliamo quindi di 350 miliardi, che investe ogni giorno circa 1.200.000 lavoratori. E’ chiaro che c’è un trend di cambiamento fisiologico verso un passaggio all’elettrico; verso la ricerca di motori più nuovi, meno inquinanti e più avanzati sotto il profilo tecnologico, seguito anche da un trend normativo dettato dall’Unione Europea, che ci dice come, al 2035, cesseremo la produzione di motori endotermici".
Dove ci porta questo trend a cui si riferisce? Quale è il futuro dell’auto in Italia?
"E’ un futuro sì, ma è lì, domani mattina per un settore come questo. Le case auto hanno iniziato a fare la loro programmazione. Ho incontrato Stellantis, che prevede un 30% di produzione elettrica nel 2025, il 70% per il 2030. Merceds, Bmw, stanno andando tutti in quella direzione e questo significa passare a un veicolo molto più leggero, con molti meno pezzi".
Significa anche un cambio radicale nella produzione dell’auto e meno posti di lavoro.
"Stimiamo tra i 70 e i 100mila posti di lavoro in meno nell’arco di 14 anni, solo nella produzione".
Per fare un confronto con oggi, quanti sono gli occupati nella sola produzione?
"Sono tra i 250 e i 300mila lavoratori, per cui si perde circa il 20-25%".
Quindi 100mila lavoratori in meno rispetto ai 300mila di oggi, su un comparto totale di oltre un milione?
"Sì, un cambiamento di pelle. Chi farà marmitte, nel 2035 non avrà più un mercato, come anche chi produce carburatori. Poi ci sono tanti altri pezzi che cambieranno, per i quali resterà un mercato, ma che, nel frattempo, sarà mutato notevolmente".
Per quanto riguarda la rete distributiva?
"Non abbiamo ancora una stima, mentre entro ottobre avremo ancora dei tavoli e dopo potrò essere più preciso".
Sempre restando sulla distribuzione; come se la immagina nel futuro? Le concessionarie scompariranno?
"Non lo so, ma dovranno specializzarsi, diventeranno un servizio, non più semplice luogo in cui vendo un prodotto. Potranno essere, la butto lì, come le farmacie di oggi. Lei entra, chiede un’aspirina e ce l’hanno; chiede la crema e le dicono che la possono ordinare per stasera, al massimo domani. Probabilmente una concessionaria sarà un mega salone, dove ci saranno dei salotti con gli occhiali che riproducono ologrammi e immagini. Fisicamente ci saranno dieci auto da vedere, mentre altre trecento saranno visibili virtualmente, magari le potrò anche provare e testare".
E serviranno tra i 3 e i 400 milioni di euro all’anno.
"Sì, è la prima parte che deve accompagnare il cambiamento. Una cifra che poi definiremo correttamente, con la coscienza di non avere la verità in tasca".
Ma è una stima che arriva da dove?
"Sono i numeri che circolano dai tavoli con lavoratori e imprese. Ma dipenderà anche dalle scelte perché, ci sarà da capire chi deciderà di riconvertirsi e chi sceglierà legittimamente di morire. Valuteremo strada facendo".
Sta descrivendo un cambio epocale. Quali strumenti utilizzerà lo Stato per accompagnare la trasformazione del settore nei prossimi 10 anni?
"Servono norme adeguate all’intervento, intendo la costruzione di un nuovo strumento, partendo da modelli. I contratti di sviluppo servono, ma in alcuni casi di modernizzazione e riduzione, serve qualcosa di più immeditato. Questa è una delle valutazione che faremo nei tre tavoli in cui ho suddiviso il tavolo dell’automotive: produttori, mercato, distributori".
Considerando che non si può impedire alle imprese di chiudere, servirà lo sviluppo di altre. Che ruolo dovrà avere lo Stato in questo sviluppo industriale?
"Bè, lo Stato che del ragionamento che stiamo facendo ha un ruolo. Se parliamo di stanziamenti, interventi normativi, regole, prevedendo ammortizzatori sociali anche per quelle imprese che chiudono, essere realisti significa sostegno per coloro che intendono cambiare e cure palliative per chi getta la spugna".
Cosa intende per cure palliative?
"Prendere i dipendenti e portarli a fare altro, accompagnarli alla pensione se serve. E’ un costo sociale notevole e lo fa lo Stato. Ecco il ruolo dello Stato. Dall’altra parte, c’è chi si rimette in gioco e allora devono prendere macchinari, formare persone, fare investimenti e qui lo Stato deve agevolare le imprese".
Formare persone dice. L’Italia dispone di know-how per essere leader del futuro dell’auto elettrica?
"L’Italia è all’avanguardia mondiale. Se pensiamo che, dovesse fermarsi la fornitura italiana di certe tecnologie, si fermerebbe anche l’industria tedesca e francese, credo che non dobbiamo temere nessuno. Non per niente abbiamo il Politecnico di Torino, ma Motor Valley di Bologna. E poi ci sono gruppi cinesi che hanno deciso di investire in Italia, a Reggio Emilia, per la produzione di auto elettriche di lusso di grossa cilindrata. Vengono qui perché c’è l’humus ideale".
E’ possibile un futuro in cui la filiera dell’auto sia completamente elettrica o ci sarà sempre una dipendenza dai fossili?
"Ogni cosa deve essere compatibile con la vita. Zero emissioni nel 2050 è un traguardo condivisibile, ma deve farlo il mondo. L’Europa emette l’8% di Co2 e sta calando, mentre altri Paesi del mondo, soprattutto nell’area asiatica, aumentano. Quindi, anche arrivassimo a zero emissioni, a livello mondiale peserebbe del 2-3%. E’ giusto farlo, questo è l’obiettivo, ma è importante l’azione politica perché sia il mondo a farlo e la tempistica con cui agire deve essere compatibile con la vita civile".
Sembra un controsenso. Se diminuiamo l’inquinamento non è automaticamente un’azione compatibile con una vita più civile?
"Le faccio l’esempio della plastica. Lei sarà d’accordo che inquina e che andrebbe eliminata. Bene. Fermiamo tutta la plastica nel mondo. Si ferma tutto, compresa l’industria dell’auto. Significa milioni di disoccupati che prendono i forconi il giorno dopo. Allora si tratta di avere un approccio razionale. Facciamolo, ma gestendolo bene".
Greta Thumberg ha detto “basta bla bla bla” chiedendo iniziative subito.
"Non credo sia venuta a Milano in bicicletta. Con questo non voglio demonizzarla. E’ giusto che i giovani stimolino gli altri a fare di più, ma fare di più non deve significare fare maggior danno. Se io da un giorno all'altro vieto il gasolio, qualche famiglia si metterà a bruciare i rifiuti per non morire di freddo in inverno. Allora i giovani fanno bene a pungolare ed esprimere le loro idee, ma chi ha responsabilità di gestire il raggiungimento di un obiettivo, deve valutare tutti i passaggi".
Aiuti di Stato, prima gli incentivi rottamazione poi ora quelli per la decarbonizzazione. Ma è giusto dare tanti aiuti alle imprese del singolo comparto?
"E’ giusto intervenire ma non universalmente, laddove necessita".
Molte imprese hanno delocalizzato all'estero, è previsto che gli aiuti siano vincolati a riportare la produzione in Italia?
"Gli aiuti possono anche servire a portare la produzione in Italia, ma per averla dobbiamo essere competitivi. Il problema si pone su Stati e Paesi che fanno parte dell’Unione europea perché non possiamo avere il vincolo sugli aiuti e poi avere dumping di altri paesi, come quelli dell’Est Europa. Le imprese, nel libero mercato, vanno giustamente dove gli rende di più".
E l’Italia come fa ad essere più competitiva?
"Ci vorrebbero anni per rispondere. Serve una giustizia rapida, norme già comprese nel Pnrr, fisco dove la burocrazia non sia tassa in più, un mercato del lavoro dove l’incontro fra domanda e offerta rispetti procedure nazionali e dove ci sia un orientamento scolastico, con nuovi diplomi e lauree i cui valori combacino con le esigenze dei nuovi mercati del futuro".
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