Omicron potrebbe essere nata dai topi: la scoperta in uno studio
I ricercatori ipotizzano che il progenitore della variante abbia sperimentato uno spillover inverso, un salto dall'uomo ai topi durante la pandemia (a metà del 2020) e accumulato mutazioni in un topo ospite per più di un anno prima di tornare negli esseri umani alla fine del 2021
Secondo diversi studi, la maggior parte dei coronavirus che infettano l’uomo provengono dagli animali, come il virus che ha causato l’epidemia di SARS nel 2002. I "responsabili" più probabili sono i pipistrelli poiché ospitano un virus geneticamente correlato al SARS-CoV-2. Tuttavia, la differenza genetica tra il coronavirus dei pipistrelli e quello umano fa ipotizzare che il virus sia arrivato agli esseri umani tramite un "ospite intermedio", come il pangolino, mammifero molto comune in Cina. La comunità scientifica è comunque concorde nel pensare che l’origine della pandemia sia da ricercarsi nel salto di specie (spillover), una trasmissione zoonotica, da animale a uomo, ma c'è anche chi pensa che la teoria dell'incidente di laboratorio non debba essere abbandonata. Arrivare alla verità non sembra comunque un’impresa facile. In attesa che si faccia luce sulla questione, dobbiamo fare i conti con la quarta ondata Covid e la variante Omicron che nelle ultime settimane corre velocemente portando sempre più in alto la linea dei contagi in tutto il mondo. Identificata il 22 novembre 2021 nei laboratori di Botswana e Sud Africa, e designata, dopo due giorni, come preoccupante (VOC) dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è la variante con più mutazioni rispetto alle precedenti (45 rispetto al ceppo originario, di cui 32 sulla proteina Spike, bersaglio dei vaccini attualmente in uso).
Questo così rapido accumulo di mutazioni nella Omicron, raro nelle altre varianti SARS-Cov-2 precedentemente sequenziate, ha tracciato la strada a una nuova ipotesi sulla sua origine: la variante potrebbe essersi evoluta a partire da un progenitore virale passato dall’uomo ai topi, nei quali avrebbe accumulato mutazioni favorevoli all’infezione di quest’ospite, per poi tornare (spillback) a infettare gli esseri umani. Sarebbe questa la tesi ipotizzata dai ricercatori dell’Accademia cinese delle Scienze di Pechino che, analizzando le sequenze virali della nuova variante SARS-Cov-2, hanno fornito nuove prove dell’origine murina di Omicron, raccolte in una ricerca pubblicata sul Journal of Genetics and Genomics.
Lo studio
I ricercatori cinesi hanno analizzato le 45 mutazioni di Omicron e notato che queste sono significativamente diverse da quelle acquisite dalle precedenti varianti del virus evolutosi negli esseri umani. Secondo gli studiosi, le mutazioni di Omicron sono associate all'evoluzione del virus in un ambiente cellulare di topo e non di uomo. Inoltre, il fatto che la sequenza della proteina Spike di Omicron sia stata soggetta a più mutazioni rispetto alla proteina Spike delle altre varianti SARS-CoV-2, nota per evolversi in modo persistente negli ospiti umani perché è attraverso questa che il virus entra nelle cellule dell’ospite, suggerisce l’ipotesi di un salto di specie.
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L’ipotesi dello spillback: che cos'è lo spillover inverso
I ricercatori ipotizzano che il progenitore di Omicron abbia sperimentato uno spillover inverso (spillback), un salto dall'uomo ai topi durante la pandemia (molto probabilmente a metà del 2020) e accumulato mutazioni in un topo ospite per più di un anno prima di tornare agli esseri umani alla fine del 2021. Durante l'evoluzione nei topi, il progenitore di Omicron si è adattato all'ospite del topo acquisendo mutazioni soprattutto nella proteina Spike che ha aumentato la sua affinità con il recettore ACE2 di topo, recettore che la proteina aggancia per entrare nelle cellule (questo meccanismo si verifica sia nel topo che nell’uomo). Ma se la variante si è differenziata intorno alla metà del 2020, come è possibile che sia rimasta “nascosta” per così tanti mesi? Secondo alcuni esperti, questo è accaduto perchè la sua evoluzione è avvenuta in un’area con scarsa sorveglianza epidemiologia e pochi sequenziamenti genomici, probabilmente in Paesi diversi dal Sudafrica dove invece esiste un efficiente sistema di sorveglianza.
“I risultati della ricerca - spiegano i ricercatori - suggeriscono che il progenitore di Omicron è passato dall'uomo ai topi, ha accumulato rapidamente mutazioni favorevoli all'infezione di quell'ospite, quindi è tornato negli esseri umani, indicando una traiettoria evolutiva interspecie per l'epidemia di Omicron”. A sostenere questa tesi anche un altro studio dell'Università di Washington e dell'Istituto Nazionale di Genetica Molecolare: per testare la teoria della trasmissione interspecie, gli scienziati hanno indagato un possibile legame tra Omicron e i recettori delle cellule di topo, visone o pangolino, e scoperto che l'Omicron si legava alle cellule dei topi, ma non a quelle degli altri animali.
Le altre due ipotesi sulla nascita della variante Omicorn
Gli autori dello studio hanno spiegato che quella della trasmissione interspecie è solo una delle tre teorie ipotizzate sull’origine di Omicron. Secondo la prima ipotesi, Omicron si sarebbe “diffuso in modo criptico” in una popolazione con una sorveglianza e un sequenziamento virali insufficienti. Secondo la seconda ipotesi, Omicron si sarebbe evoluto in un paziente affetto da COVID-19 cronicamente infetto, come un soggetto immunocompromesso che ha fornito un ambiente ospite adatto che favorisce l'adattamento del virus intra-ospite a lungo termine. Attualmente, l’ultimo scenario rappresenta l'ipotesi più popolare riguardo alle origini di Omicron.
Necessari sorveglianza e sequenziamento virale anche negli animali
Gli esseri umani rappresentano il più grande serbatoio conosciuto di SARS-CoV-2 e spesso entrano in contatto con altri animali, inclusi animali da allevamento, animali domestici o animali selvatici che invadono le case in cerca di cibo e riparo. “Data la capacità di SARS-CoV-2 di attraversare varie specie, - spiegano i ricercatori - sembra probabile che le popolazioni globali affronteranno ulteriori varianti derivate da animali fino a quando la pandemia non sarà ben sotto controllo. Alla luce di questo, il nostro studio sottolinea la necessità dela sorveglianza e del sequenziamento virale negli animali, in particolare di quelli a stretto contatto con l’uomo, con l’obiettivo di prevenire futuri focolai di varianti pericolose di SARS-CoV-2”.
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